Aloe: dall’antichità al medioevo
Dalla mesopotamia dei sumeri ad Alessandro magno, fino al medioevo di arabi e crociati: le testimonianze storiche sulla “pianta della vita”.
Conosciuta da sempre per la sua bellezza, la sua eleganza e
soprattutto le sue proprietà terapeutiche, per molte civiltà la pianta
dell’aloe ha rappresentato una vera e propria divinità. La prima testimonianza
dell’utilizzo della pianta in medicina sembra risalire a una tavoletta di
argilla di età accadica (2200 a.c.) ritrovata a Nippur, a sud di Baghdad:
<le sue foglie assomigliano a foderi di coltelli>. In ogni caso
l’utilizzo farmacologico dell’aloe doveva essere ben conosciuto e diffuso in
tutto il vicino oriente antico. Gli assiri chiamavano il succo di aloe “Sibaru
o Siburu” e ne utilizzavano le proprietà lassative per risolvere i problemi di
digestione difficile, come quelli derivati dal consumo di cibo avariato o la
dolorosa flatulenza delle coliche intestinali. Nell’antico Egitto poi l’aloe,
oltre che per le sue funzioni terapeutiche, era tenuta in gran conto per la
cosmesi femminile. Dai faraoni era considerata addirittura un elisir di lunga
vita. Piantata intorno alle piramidi e lungo le strade che portavano fino alla
valle dei re, l’aloe, simbolo di immortalità, accompagnava il faraone fino al
regno dei morti per nutrirlo e medicarlo. I sacerdoti usavano questa pianta
durante l’imbalsamazione. Sempre nell’antico Egitto si apprezzava il valore lassativo
dell’aloe, utilizzata per gli enteroclismi. Ancora oggi le soglie delle case
egiziane vengono decorate con una pianta di aloe come simbolo di felicità
domestica, spesso ornata con un fiocco rosso. Di certo parla dell’aloe il
cosiddetto Papiro di Erbes (dal nome dello scienziato tedesco che lo scoprì nel
1875). Si tratta di un formulario contenente oltre 800 prescrizioni e la
citazione di circa 700 droghe di origine vegetale, minerale e animale. Vi si
trovano anche molte ricette per la preparazione di decotti, infusi, unguenti,
suffumigi.
Dall’Egitto al Medioevo, leggenda e realtà
Abbiamo detto che in Egitto l’aloe era utilizzata per le sue
proprietà di bellezza, che oggi sappiamo essere riconducibili all’azione
antiossidante di oligoelementi come il manganese e il selenio, oltre che alla
presenza di prolina. Fra le leggende sull’aloe si narra che Cleopatra facesse
uso del succo di aloe come collirio e – come alcuni secoli prima la bellissima
Nefertiti – lo usasse per esaltare la bellezza e il colorito della pelle
facendo bagni di latte d’asina (o di giumenta) e aloe. Per gli antichi greci
l’aloe era associata a bellezza, pazienza e fortuna, tanto che anche Ippocrate
vi fa riferimento nei suoi scritti: la riteneva capace di arrestare la caduta
dei capelli e di dare sollievo per la dissenteria e il mal di stomaco. Si
pensava anche che la pianta rendesse i guerrieri invincibili: una leggenda
delle leggende sulle conquiste di
Alessandro Magno narra di una spedizione navale che il Macedone, su
consiglio del suo maestro Aristotele, avrebbe intrapreso per conquistare
l’isola di Socotra, nell’Oceano Indiano. Al di la della veridicità
dell’episodio, proprio l’isola di Socotra (conosciuta da romani e greci come
Dioscoris) per molti secoli è stata al centro della coltivazione dell’aloe
succo trina – una varietà pregiata di aloe – e del suo commercio dal
mediterraneo alla Cina. Accanto alla tradizione occidentale, infatti, l’aloe è
presente in quella della medicina orientale, dalla Cina al Tibet all’India. La
medicina tibetana e quella ayurvedica conoscono una preparazione a base di aloe
aquilaria agallocha (un albero della famiglia delle timelacee), la cui
corteccia viene usata per medicare ferite, otiti e le patologie dell’occhio.
Mediatori fra oriente e mondo mediterraneo, i fenici pare facessero seccare la
polpa estratta dalle foglie di aloe in otri di pelle di capra, diventando i
maggiori commercianti di aloe nel mondo greco-romano. Anche i romani si
accorsero delle virtù terapeutiche dell’aloe. Pedacio Dioscoride, uno fra i
maggiori naturalisti greco-romani, vissuto nei I° secolo d.c., descrive le
virtù lenitive e cicatrizzanti dell’aloe nel suo trattato “de materia medica”.
Nel medioevo, crociati e pellegrini di ritorno dalla terra santa portarono con loro
questa piantina prodigiosa, contribuendo a una ripresa di interesse nei suoi
confronti.
Nel XII secolo Hildegarda di Bingen scriveva:” il succo di aloe è caldo e ha grande valore per il polmone e l’itterizia”. Gli arabi del resto, che già ne conoscevano le virtù, erano stati in gradi di espanderne la coltivazione fino all’Andalusia, riuscendo ad acclimatarla. Furono però i padri gesuiti, prima spagnoli e poi portoghesi che, alle soglie dell’età moderna, esplorando le nuove terre diffusero la coltivazione della pianta di aloe in tutte le colonie, dall’Africa all’America fino all’Estremo Oriente.
Nel XII secolo Hildegarda di Bingen scriveva:” il succo di aloe è caldo e ha grande valore per il polmone e l’itterizia”. Gli arabi del resto, che già ne conoscevano le virtù, erano stati in gradi di espanderne la coltivazione fino all’Andalusia, riuscendo ad acclimatarla. Furono però i padri gesuiti, prima spagnoli e poi portoghesi che, alle soglie dell’età moderna, esplorando le nuove terre diffusero la coltivazione della pianta di aloe in tutte le colonie, dall’Africa all’America fino all’Estremo Oriente.
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