A metà ottocento l’aloe viene riscoperta grazie a una serie
di studi innovativi, fra i quali spicca l’esperienza di un medico russo capace
di unire sapere scientifico e medicina popolare.
La storia moderna dell’aloe comincia con la scoperta del
principio attivo caratteristico di questa pianta, ribattezzato aloina dalgi
insglesi Smith e Stenhouse nel 1851, anno in cui per la prima volta il composto
viene titolato e identificato. Per tutto l’ottocento comunque sono soprattutto
le proprietà lassative dell’aloe ad attirare l’attenzione e nel British
Pharmaceutical Codex del 1907 l’aloina e
aloemodina sono citate per le proprietà purganti e purificanti. Il primo a
commercializzare l’aloe fu invece un piantatore del Kentucky, H.W. Johnstone,
che accortosi quasi per caso del forte potere cicatrizzante della pianta –
usata dai lavoratori di colore della sua piantagione – iniziò a coltivarla su
larga scala, mettendo in commercio nel 1912 un unguento. Negli anni trenta due
ricercatori americani, i Collins (padre e figlio) studiarono a fondo la
capacità rigeneratrice dell’aloe, pubblicando un rapporto sull’effetto
dell’aloe vera nel lenire gli effetti della radioterapia, in particolare nelle
dermatiti. La loro ricerca segnò in America il lancio di una serie di campagne
scientifiche di approfondimento della composizione della pianta culminata con i
lavori di Chopia e Gosh, che nel 1938 riuscirono nelle loro analisi a fornire
una prima descrizione della composizione chimica della pianta. Fra il 1942 e il
1947, un ingegnere chimico, Rodney M. Stockton, imbattutosi per caso nella
pianta, dopo decine di esperimenti ne provò l’efficacia e mise in commercio con
un certo successo un balsamo per le ustioni. Contemporaneamente proseguiva
l’analisi chimica della pianta. Tom Rowe, dell’università della Virginia,
stabiliva per esempio che il principale agente curativo delle lesioni cutanee
da radiazioni doveva trovarsi concentrato nella parte dura delle foglie. Solo
verso la fine degli anni cinquanta il farmacista texano Bill C. Coats, dopo
aver interamente dedicato la sua vita agli studi, riuscì a stabilizzare la
polpa di aloe fresca, evitando i problemi di fermentazione e ossidazione del
prodotto che avevano fino ad allora afflitto sia la preparazione del succo che
delle creme. Coats risolse il problema con aggiunta di vitamina C, vitamina E e
di sorbitolo, tutti antiossidanti naturali. Questo portò alla vendita dell’aloe
su larga scala. Quasi negli stessi anni i russi, lavorando su varietà diverse
dell’aloe vera al centro delle ricerche americane (aloe arborescens e
striatula) e tipiche delle loro latitudini, giungevano alla conclusione che una
medicazione a base di aloe dimezzava i tempi di guarigione in caso di traumi
ginecologici e oftalmici, collegando l’acido cinnamico alle capacità dell’aloe
di uccidere i parassiti intestinali. Proprio i russi del resto potevano vantare
uno dei maggiori pionieri nello studio dell’aloe.
La medicina dialettica di Filatov
L’oftalmologo russo Vladimir Petrovic Filatov, nato a Odessa
nel 1875, può essere considerato a ragione uno dei precursori dell’impiego
dell’aloe. Ecco perché ci sembra giusto dedicargli un breve paragrafo. Lo zar
Nicola II volle insignire personalmente con la cattedra d’oftalmologia a Mosca
questo promettente medico, ricercatore dinamico e ricco di interessi. Secondo
Filatov si doveva passare con naturalezza dalla omeopatia alla naturopatia,
dalla medicina energetica a quella tradizionale, tenendo a mente una medicina
unitaria, capace di mantenere per così dire una visione d’insieme (quella che
oggi chiamiamo olistica) della malattia e dell’essere umano. Proprio negli anni
tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, il medico tedesco Paul
Ehrlich si fece promotore della prima
chemioterapia: una terapia a base di sostanze chimiche in grado di
aggredire l’agente patogeno colpendolo con precisione come fosse un bersaglio,
allo stesso modo in cui i sieri andavano a colpire le tossine. Filatov
sosteneva che le cure chemioterapiche e la fitoterapia possedessero
altrettatnte qualità che, anziché esser poste su piani diversi, dovevano
lavorare in sinergia con l’unico scopo della guarigione del paziente. Dopo la
rivoluzione d’ottobre, per poter continuare i suoi studi, Filatov ribattezzò il
suo metodo di studio “Medicina Dialettica” affinché il regime bolscevico lo
lasciasse continuare a lavorare senza drastiche imposizioni. Grande
viaggiatore, avvezzo alla vastità dell’impero russo, era solito studiare le
piante medicinali e i segreti dei guaritori locali che incontrava sulla strada.
Durante questi intensi scambi, cercava di istruire i guaritori, trasmettendo
loro i rudimenti della scienza medica moderna, cercando al tempo stesso – come
cattedratico – di dare ai medici universitari una formazione più aperta alla
medicina popolare tradizionale. La grande scoperta di Filatov fu la messa a
punto di un trapianto di conrea. Filatov comprese infatti che innestando un
frammento di cornea sana prelevato da un cadavere su quella malata e opaca
affetta da cataratta, il piccolo frammento era in grado di restituire alla
cornea malata la trasparenza di origine. Il processo era d’altronde velocizzato
se il prelievo della cornea veniva eseguito con il corpo del morto mantenuto al
freddo, a una temperatura di 2-3°. Praticò con successo più di tremila innesti
di cornee, guarendo un gran numero di cateratte e di cheratoscleriti.
Stimolatori biogeni e piante medicinali
Gli studi sulla conservazione dei tessuti alle basse
temperature e sulle proprietà rigeneranti di alcune sostanze in particolari
condizioni proseguirono: Filatov chiamò queste sostanze “stimolatori biogni” e
applicò la sua teoria a piante medicinali come il ginseng e l’aloe arborescens.
L’aloe arborescens, in particolare, era abbondante in tutta la Russia
meridionale e nell’Asia centrale, e Filatov la scelse dopo averne osservato i
sorprendenti effetti cicatrizzanti: tagliò delle foglie di aloe, le conservò
per dieci giorni al riparo dalla luce e al freddo, successivamente ne estrasse
la polpa e la iniettò sotto la cute dei pazienti: si accorse che ottneva
risultati simili a quelli raggiunti con il trapianto di tessuti. Filatov notò
con sorpresa un altro elemento: le stesse foglie di aloe passate nell’autoclave
a 120°C conservavano le loro proprietà anche si i loro enzimi non erano
presenti. Anche in questo caso arrivò alla conclusione che i responsabili del
processo di guarigione dovevano essere gli stimolatori biogeni. Filatov non
riuscì mai a provare l’esistenza degli stimolatori biogeni e a spiegare il loro
funzionamento, anche se continuò a ottenere eccellenti risultati con la sua
preparazione di aloe arborescens (chiamata “aloe biostimolata”). Dopo la morte
di Filatov la scuola russa ha continuato a impiegare l’aloe (sia arborescens
che vera) con successo fra l’altro nei casi di sciatica, malattie infiammatorie
della spina dorsale, astenia. Solo in seguito il dottor Brandt avrebbe tentato
di dare una spiegazione scientifica al meccanismo del funzionamento degli
stimolatori bigeni a base di aloe vera, collegandolo al sistema nervoso
centrale: l’aloe provocherebbe un allungamento della durata dei riflessi
condizionati, attivando così un processo di inibizione del sistema nervoso
centrale.
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